I big della moda nel mirino degli 007 delle tasse: Due milioni di multa a Dolce e Gabbana.
Era il 1994, ma sembra un secolo fa. Di Pietro era ancora pm, Berlusconi aveva formato il suo primo governo e in Procura a Milano cominciavano a sfilare gli stilisti. L'inchiesta - una delle ultime di Mani pulite - coinvolse quasi tutti i marchi più famosi del made in Italy, per chiudersi con pochi patteggiamenti, molte prescrizioni e alcune clamorose assoluzioni. Ora il fisco ha deciso di tornare in passerella. Con nuove accuse di evasione a due gruppi tricolori di fama internazionale: Dolce&Gabbana e Ferragamo.
Fisco&Gabbana. La prima accusa riguarda l'anno 2002: in quei 12 mesi, secondo il fisco, per Dolce&Gabbana era di moda il nero. A documentarlo è una sentenza del 21 febbraio scorso, che conferma i sospetti degli ispettori tributari su uno dei settori più controversi dello stratificato mercato della moda: i rapporti economici tra gli stilisti e le ditte-satellite che comprano i loro prodotti esclusivi e li rivendono perlopiù ad altri distributori commerciali, chiamati in gergo "stockisti". Al centro del caso c'è un processo tributario da 2 milioni di euro che riguarda la Sto.Tex srl, controllata all'80 per cento dalla Dolce&Gabbana Industria spa. Dopo una verifica in azienda, gli uomini dell'Agenzia delle entrate di Legnano contestano alla società "gravi omissioni" nella quantificazione delle "giacenze di magazzino": per gli accertatori la Sto.Tex non ha dichiarato nei libri contabili di aver rivenduto ben 126.679 prodotti di abbigliamento con il marchio D&G, che aveva in precedenza acquistato dalla casa-madre. Tutta quella merce che sembra sparita dai depositi, in realtà sarebbe stata rivenduta agli stockisti rigorosamente in nero. Un giro d'affari clandestino che avrebbe permesso alla Sto.Tex di nascondere redditi per 2 milioni e 445 mila euro. Per evitare una multa di quasi 2 milioni di euro (tra imposta evasa e sanzioni), la società presenta ricorso attraverso gli avvocati Dario Romagnoli e Giancarlo Zoppini, che fanno parte di uno dei più prestigiosi studi di commercialisti milanesi, quello fondato e tuttora guidato dall'ex ministro Giulio Tremonti.
Durante il processo, il 21 novembre 2007 i difensori chiedono un rinvio e tentano una conciliazione: la Sto.Tex accetta di aumentare le vendite dichiarate, ma solo per 28 mila prodotti, che corrisponderebbero a maggiori profitti per 342 mila euro. La società, inoltre, rinuncia a contestare di aver esposto costi per 97 mila euro in verità "indeducibili". L'Agenzia di Legnano, però, rifiuta di patteggiare: la verifica fiscale sulle effettive rimanenze di magazzino ha accertato lacune tanto "gravi" da far risultare "inattendibile tutta la contabilità aziendale". Quindi la Sto.Tex resta chiamata a pagare l'intera multa, senza sconti: a conti fatti, un milione e 940 mila euro. Il 30 gennaio 2008 i due professionisti dello studio Tremonti presentano una corposa memoria difensiva che addebita agli ispettori del fisco una presunta catena di errori clamorosi: l'agenzia avrebbe fatto confusione tra "capi" e "pezzi", calcolando come prodotti destinati alla vendita, ad esempio, ben 27 mila "accessori interni per abiti", che secondo l'azienda sarebbero "semplici etichette dei vestiti". Il 13 febbraio i giudici dell'ottava Commissione provinciale di Milano (presidente Mario Piscitello) si ritirano in camera di consiglio: la sentenza dà completamente ragione al fisco. Le motivazioni spiegano che, "di fronte alla sussistenza e all'importanza delle criticità" denunciate dagli ispettori, la difesa della Sto.Tex "si limita ad affermazioni di principio non supportate da alcun elemento documentale". "Appare singolare", rimarca la sentenza, il fatto che che la Sto.Tex abbia "sottratto alla conoscenza di questo giudice tutti i documenti contabili ed extracontabili in suo possesso, su cui pure fonda in parte la sua difesa". Altrettanto strana sembra ai giudici la scelta di citare, nella "scrupolosa memoria" difensiva, solo alcuni "allegati", senza invece depositare l'intero verbale d'accusa. In conclusione, la sentenza riconferma l'intera multa e condanna la Sto.Tex a pagare anche le spese del processo. Ora la società controllata da Dolce e Gabbana può impugnare il verdetto in appello davanti alla Commissione tributaria regionale di Milano.
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