E lo stilista, da vero signore, si chiude nello studio per uscirne pochi minuti dopo con un disegno che ritrae la top model: «Non glielo vedevo fare da tempo» sorride Giammetti «tante donne famose lo supplicano di creare ancora per loro, ma Valentino è irremovibile nel dire di no. Si vede che a Naomi voleva fare un regalo».
Valentino e Dolce & Gabbana a Cannes
Nel circolo gaudente di feste e relax, non mancano anneddoti curiosi come quello di Naomi Campbell, a Cannes sulla barca di Dolce e Gabbana, che dice a Valentino, a sua volta sul suo yacht: «Oggi è il mio compleanno».
E lo stilista, da vero signore, si chiude nello studio per uscirne pochi minuti dopo con un disegno che ritrae la top model: «Non glielo vedevo fare da tempo» sorride Giammetti «tante donne famose lo supplicano di creare ancora per loro, ma Valentino è irremovibile nel dire di no. Si vede che a Naomi voleva fare un regalo».
E lo stilista, da vero signore, si chiude nello studio per uscirne pochi minuti dopo con un disegno che ritrae la top model: «Non glielo vedevo fare da tempo» sorride Giammetti «tante donne famose lo supplicano di creare ancora per loro, ma Valentino è irremovibile nel dire di no. Si vede che a Naomi voleva fare un regalo».
Valentino disegna Dolce e Gabbana. Ma solo per Naomi. «Da 5 mesi non prendevo in mano la matita. Poi, a Cannes qualche settimana fa, la mia barca si affianca a quella di Stefano e Domenico che ospitavano Naomi. Era il suo compleanno. Indossava un vestito corto, bianco, di strass, di Dolce e Gabbana. L'ho ritratta così e le fatto arrivare il bozzetto con dedica a mezza notte, per festeggiarla. Lei, felicissima, mi ha detto che lo pubblicherà nel libro che sta scrivendo», ride di cuore il sarto romano.
È a Parigi con il suo braccio destro, Gian Carlo Giammetti. Danno gli ultimi ritocchi alla mostra «Valentino. Thèmes et Variations» che lunedì 17 giugno apre i battenti al Musée de la mode (per la prima volta uno stilista italiano espone lì) e si potrà vedere fino al 21 settembre. Un anno di lavoro per prepararla, 250 abiti sviluppati sui soggetti iconici del couturier durante la sua carriera. Megainaugurazione, ovviamente, che durerà dalla mattina alle 10 a notte inoltrata, con super ospiti. A partire da Carlà e Sarkò, fino alla fedele Gwyneth Paltrow; dalla fascinosa Charlize Theron ai giovani Casiraghi... Duecentotrenta ospiti placés a cena nei saloni del Louvre con tavoli tondi da otto, ricoperti di tovaglie giada e centritavola di ortensie mauve e rosa, allestiti come a casa del sarto, con quel gusto ricercato che si respira nel castello che Valentino possiede a Videville, a pochi chilometri da Parigi. Tutti riuniti per festeggiare la rassegna itinerante che dopo Parigi si sposterà a New York, Pechino, Mosca e Dubai. Ma che cosa ha fatto Valentino in questi 5 mesi, dopo l’addio? «Mi sono disintossicato dalla moda, ho attuato un programma da rehab. Questo settore è come la droga, meraviglioso ma anche crudele. Molto crudele. Volevo prendere le distanze, fare quel che mi andava. Giammetti e io siamo fra i pochi ad avere sempre avuto anche una gratificante vita privata e mondana, oltre a quella professionale. Quindi abbiamo viaggiato, visto amici, fatto progetti, realizzato due fondazioni con i nostri nomi per aiutare i bambini bisognosi di tutto il mondo». Ma con gli ex colleghi che rapporti avete? «Meravigliosi, meglio di prima. Li frequentiamo senza più ansie concorrenziali. Sono: Karl Lagerfeld, Donatella Versace, Giorgio Armani... Con i Dolce e Gabbana ci siamo divertiti come pazzi a Cannes. A New York abbiamo incontrato spesso Donna Karan, Marc Jacobs, Zac Posen. La prova del nove, però, è stata di recente al Metropolitan Museum. Eravamo ospiti al tavolo di Ann Wintour (temutissima direttora di Vogue America) e per la prima volta ci siamo tolti la soddisfazione di guardare questo mondo dal di fuori, salutando solo chi volevamo». Del marchio Valentino non avete più voluto sapere nulla? «Al contrario. Come si fa a fregarsene di una griffe che porta comunque il tuo nome? Tutte le volte che qualcuno, pensando di farci un piacere, ci riferiva che la Valentino dopo la nostra dipartita andava male, ci dava un gran dispiacere». Avete più rivisto Alessandra Facchinetti? «Sì, a New York, adorabile, rispettosa del patrimonio creativo della maison e molto carina anche con le sarte amatissime di Valentino - dice Gian Carlo Giammetti -. Se i risultati della Valentino saranno deludenti non sarà certo per causa sua». Fra i progetti più immediati? «Una gigantesca collaborazione con uno dei più grandi teatri del mondo per un’opera di cui realizzerò costumi, scenografia e deciderò anche chi sarà il regista. Non posso dire di più. Lo vedrete nel 2010. Ci sto già lavorando». Lei si è ritirato, Saint Laurent è morto, l’era dei couturier è finita? Che cosa vi accumunava? «Ci univa il rispetto per la donna. E' tramontata l'epoca dei couturier perché ormai i creativi non sono più liberi di disegnare quel che vogliono. Ora devono fare i conti con il marketing, sono anche manager e imprenditori, si confrontano con le esigenze di mercato». Voleva coltivare rose, ci disse l’ultima volta, oltre alla vita sportiva e alle mondanità, ha scoperto nuovi hobby? «Tantissimi. Il più recente è il computer - interviene Giammetti -. Valentino è negato per la tecnologia, ma ne subisce il fascino. Solo che è rimasto ai tempi in cui i pc costavano una fortuna. Allora ha detto: “Prendiamone uno di seconda mano, così se poi non mi piace e non riesco a usarlo, pazienza”. Abbiamo comprato un Mac Book, gli piace e lo usa». Che cosa si vedrà alla mostra? «Parte da concetti diversi da quella romana. Ogni tema è sviluppato dall'inizio fino ai giorni nostri con tutte le sue variazioni. A testimoniare la perennità di una creazione. Per esempio dal rosso che adoro, ed è il simbolo del mio stile, declinato su un abito a corolle di chiffon ideato nel '59 (sfoggiato da Jennifer Anniston due anni fa agli Oscar) al carminio dell'ultima collezione. Dal candido abito di Jackie Kennedy sposa di Onassis nel '69 (ordinato il giorno dopo in 150 esemplari) agli ultimi bianchi. C'è il poncho rosso di chiffon che feci nel 1964 per Diana Vreeland (mitica direttora di Vogue America) che poi mise Veruska. Quindi l'abito di volant creato per Marisa Barenson nel '68, accanto a quello immortalato da "Time Magazine"pennellato sul corpo di Brooke Shields nel '81, fino alle versioni più recenti. Non manca il mantello con cui farah Diba lasciò il suo Paese, un paltò marrone con collo di zibellino coordinato al cappello. Grande amica mia, Farah disse: "Ho voluto mettere questo cappotto per uscire dall'Iran a testa alta, lascio tutti i miei abiti , parto solo con questo capo". Era un po' il simbolo del suo coraggio. Ogni tema, dall'animalier al plissè (adorato da Audrey Hepburn) si sviluppa attraverso 47 anni con modelli diversi. Esposti su manichini argento che sembra siano in movimento su uno sfondo di sabbia grigia illuminata da pagliuzze iridescenti. Un libro-catalogo raccoglie tutti i capi della mostra al Louvre. S'intitola "Valentino-temi e variazioni" di Pamela Golbin, con una mia prefazione, è realizzato da Rizzoli.».
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