Dolce & Gabbana e Letizia Moratti - Intervista


Sullo sfondo, le beghe di cronaca. Lo scoppiettante botta e risposta tra l’assessore alla Cultura del Comune di Milano, Massimiliano Finazzer Flory, e alcuni stilisti «criticoni» e lamentosi per lo stato di degrado del quadrilatero dello shopping griffato. In primo piano, invece, un incontro tra il sindaco Letizia Moratti e gli stilisti Domenico Dolce e Stefano Gabbana per chiarire le idee delle istituzioni e della moda, sottolineare l’importanza di fare sistema e soprattutto tentare progetti comuni. Ecco i punti salienti della lunga conversazione.
Letizia Moratti: Ho subito dato il mio benestare entusiastico quando i Dolce e Gabbana mi hanno proposto la mostra che verrà inaugurata ai primi di marzo, al Palazzo della Ragione. Si tratta di un evento straordinario: verranno celebrate la bellezza e la moda attraverso gli occhi dei più grandi fotografi americani, con l’allestimento dell’architetto francese Jean Nouvel e la collaborazione del direttore di Vogue America, Anna Wintour. Non è una mostra per una piccola élite, come qualcuno potrebbe obiettare, ma è un regalo che i due stilisti fanno alla città per avvicinare la gente al linguaggio della fotografia di moda. E poi visto che molti si lamentano che non ci sono eventi durante la settimana delle sfilate, cominciamo con questo.
Domenico Dolce: È vero, è una mostra importante soprattutto per i giovani. Sarà cibo per la loro mente. Irving Penn, Helmut Newton, Steven Klein, Patrick Demarchelier hanno fatto la storia della moda e del costume e sono la testimonianza della fotografia come forma d’arte. E poi, c’è la partecipazione di Jean Nouvel per la prima volta a Milano.
Stefano Gabbana: Lo abbiamo conosciuto a Istanbul, più di dieci anni fa. Eravamo in casa di amici sul Bosforo e a un certo punto abbiamo cominciato a fare un gioco buffo: a mostrare l’elastico degli slip per vedere di che marca fossero. Quando ci siamo rivisti a Parigi, dopo anni, ci siamo ricordati di quella serata e siamo scoppiati a ridere. Comunque, vorrei dire una cosa: basta con la storia che la moda è per pochi, che non coinvolge la città come per esempio il Salone del mobile. Certo le modalità sono diverse ma le aperture ci sono. Noi per esempio siamo disponibili. E poi, il nostro spazio, il Metropol, può ospitare eventi, aperti a tutti e lo offriamo volentieri al Comune. Parola d’ordine: fare sistema

L.M. Certo. Grazie. Milano dovrebbe fare di più, lo ammetto: fare sistema con gli altri attori della vita culturale, anche se, vi confesso, non è facile mettere insieme tutti. A questo proposito, vorrei ricordare che nel 2011 apriremo la Triennale dell’Immagine allo spazio Ansaldo. È una collaborazione che avremo con Motta, Alinari, il Sole 24 ore e poi ci saranno le nostre foto storiche della Collezione Bertarelli. Sarà uno spazio dedicato alla fotografia connaturato alla dimensione culturale di Milano.

S.G. Comunque su di noi e sul Metropol potete contare. I giovani e la Camera della moda.

L.M. Scusate, vorrei fare una domanda. In veste di sindaco che cosa posso fare per i giovani che studiano, che vorrebbero emergere nel mondo della moda?

S.G. Intanto, si potrebbe cominciare a trovare degli spazi per fare le sfilate che non costino tanto.

D.D. Anzi, meglio se gratis.

L.M. Ma come si fa con il calendario della Camera della moda?

S.G. La Camera non ha nessun interesse perché i giovani sfilino gratis.

D.D. Una soluzione potrebbe essere quella di dedicare la prima giornata del calendario iniziale solo ai giovani.

S.G. In altre occasioni ho lanciato la proposta di cinque giornate di sfilate con solo due nomi importanti per giorno e poi gli emergenti. La settimana successiva invece potrebbe essere dedicata agli altri, i prontisti e tutti quelli che vogliono e devono sfilare ma che non hanno nulla a che fare con lo stilismo.

L.M. Mi sembra un’ottima proposta. Ma a me piace fare le cose che posso fare io. Indipendentemente dalla Camera della moda, io come sindaco come potrei operare?

S.G. Scusi, ma il sindaco ha più potere del presidente della Camera della moda, secondo me.

L.M. Bella, questa me la scrivo. Comunque credo che ci siano già manifestazioni come Next generation che permettono ai giovani di sfilare. O no?

D.D. Non è la stessa cosa. Io credo che senza una nuova generazione di stilisti la moda italiana è morta. Dopo il Fuori Salone, anche il «Fuori Moda».

L.M. Parliamone, proviamo a far qualcosa insieme.

S.G. Come per la settimana del design, potremmo fare un Fuori Moda, cioè fuori dal quel sistema chiuso. Una manifestazione parallella a quella istituzionale, un po’ fuori dagli schemi, con eventi, mostre, feste aperte a tutti.

L.M. Questo mi piace. Proviamo a farlo insieme? Io parlo con la Camera della moda, voi vi impegnate a darmi una mano.

D.D. e S.G. Molto volentieri. Bisogna dare una scossa a Milano. Altro che Parigi e New York. I creativi stanno qui e qui bisogna farli crescere.

L.M. Mi sembra un ottimo progetto che andrà ad arricchire gli altri. Parlo del master di moda studiato insieme allo Iulm, la Bocconi e la Camera per formare nuove figure manageriali del settore. E mi riferisco anche all’Incubatore della moda, ovvero al contributo econonomico che il Comune offre alle aziende per promuovere la formazione dei giovani. Siete a conoscenza di queste iniziative?

S.G. A dire il vero, no. Eppure i giornali li leggo.

L.M. Ecco un altro fronte su cui impegnarsi: la comunicazione capillare.

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