Luca Testoni: L'ultima Sfilata
Un libro inchiesta sulla casta delle sfilate........
'C’era una volta la moda italiana. Quella dei grandi stilisti, delle top model superpagate (quelle che «per meno di 10.000 dollari al giorno non ci svegliamo neanche»), del miracolo industriale. C’era una volta il fiore all’occhiello del made in Italy, che conquistava Hollywood, faceva tendenza e finiva sulle copertine delle riviste più prestigiose del mondo. C’era una volta e potrebbe non esserci più. Dietro la facciata glamour, infatti, il sistema scricchiola. Colpa di una «casta» che per troppo tempo ha guardato solo al proprio (lussuoso) orticello: una compagnia esclusiva (e molto elegante), in cui al genio creativo si è sostituita l’arroganza di imprenditori, pierre e buttafuori. Un settore incapace di sottrarsi alla decadenza dei costumi, e di sostenere l’urto di una moda sempre più low cost e low luxury. Un universo fatto di addetti stampa che confondono il fatturato con il PIL, di sfilate sponsorizzate dai pomodori, di eroi della trash-tv in passerella, di griffe sulle mutande e sulle piastrelle del bagno, di elusione fiscale e marchette sui giornali. Con questo corrosivo pamphlet, Luca Testoni apre il primo vero processo al sistema moda italiano, e insieme lancia un accorato appello per salvare una delle ultime eccellenze nazionali. Di tempo ne è rimasto poco: il giorno dell’ultima sfilata è più vicino di quanto si pensi.'È sempre stato un settore passabilmente intoccabile, quello della moda italiana nonché, ça va sans dire, milanese. Il giro di affari era di quelli fluviali, come il ritorno di immagine e chi avrebbe dovuto indagare questo mondo con uno sguardo un po' più oggettivo - i giornalisti, per esempio - spesso era coinvolto a vario modo e non osava far troppe domande su alcune follie che si verificavano sotto i suoi occhi. Tuttavia oggi - complice la crisi finanziaria (che ha portato a un calo stimato per il 2009 di almeno il 15 per cento del fatturato), il clima di generale repulisti pseudo-morale e para-giudiziario tipicamente e ciclicamente italiano e la moda editoriale delle inchieste sugli intrallazzi delle "caste" - si comincia a perlustrare e raccontare con sistematicità anche le malefatte haute couture. Per esempio, ne parla con passione il giornalista finanziario Luca Testoni in un libro-inchiesta che verrà presentato oggi alle 18.30 alla Mondadori Duomo dall'autore stesso insieme a Romeo Gigli e Maria Luisa Trussardi: L'ultima sfilata. Processo alla casta della moda italiana (Sperling & Kupfer, pagg. 276, euro 18).Vi si legge di un mondo auto-referenziale, bizantino, ricchissimo e decadente al tempo stesso, negli ultimi anni vittima dei propri capricci e succube del falso prestigio della trasgressione. Vi ritroviamo anche il fatto (ben documentato) che la nostra moda qualche volta può essere sì made in Italy, nonostante le varie delocalizzazioni soprattutto in Cina, ma i profitti sono molto spesso off shore. Infatti alcune case di moda che fanno un vanto costante della loro italianità hanno allocato le holding di controllo dove passano i loro profitti in nazioni molto vantaggiose dal punto di vista delle tasse, come Olanda e Lussemburgo. Fu proprio il Giornale, tra l'altro, nel maggio dell'anno scorso, a dare notizia dell'elusione fiscale di Dolce & Gabbana e relativa colossale multa di 400 milioni di euro a testa per i due stilisti. Per non far menzione di Leonardo del Vecchio, patron di Luxottica, e della sua transazione da 300 milioni di euro per chiudere ogni contenzioso sulla presunta estero-vestizione delle holding di controllo del gruppo. O dell'operazione - che riuscì a passare quasi inosservata - di Diego Della Valle, proprietario di Tod's, che portò in Borsa il suo gruppo per poi usare il ricavato dell'offerta pubblica iniziale per far acquistare dalla società, di cui rimaneva socio di ampia maggioranza, gli altri due marchi della sua stessa scuderia (Fay e Hogan), controllati da due società lussemburghesi. Da un certo punto di vista tutto ciò è persino legale. Si tratta però di operazioni che aprono profonde rughe sul maquillage di cui il mondo della moda, già piuttosto egocentrico e bizzoso di suo, si ricopre ogni giorno il volto.Il libro di Testoni indaga anche la corrispondenza di amorosi sensi tra alcuni giornalisti e il fashion system: «La marchetta giornalistica sembra essere nel DNA del giornalismo di moda» ci ha detto l'autore. Vale a dire, articoli dettati a colpi di regali ai pennivendoli di turno o di pagamenti in pubblicità o sotto forma di cosiddetti "viaggi-merenda". Famigerato il caso della scrittrice Camilla Baresani, che sul Sole 24 Ore stroncò una cotoletta servitale al Gold, ristorante milanese di Dolce e Gabbana. I due stilisti minacciarono di ritirare la pubblicità (250/300 mila euro) e il quotidiano dovette ricorrere al suo critico gastronomico Davide Paolini per mettere una pezza sulla faccenda, incensando in seconda battuta la cotoletta, a quanto pare troppo zuccherosa al palato.
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
Best Post You Love
-
Selena Gomez in Dolce & Gabbana (vintage 2004 collection) to the Unicef Snowflake Ball in New York City!
-
Arti e Mestieri a seconda degli anni Novanta. Quando si parla di moda, è difficile non associarla come misura complemen...
-
Una meravigliosa estate italiana firmata Dolce & Gabbana L'arte e la cultura, va benissimo. Ma anche la cultura popolare e le t...
-
Professional boxing trainer Andy Orr of MyGym London has trained some of Britain’s best boxing champions with his unique techniques. ...
-
La foto s’è praticamente vista ovunque: del resto è meglio di un’iniezione di Viagra istantaneo. La campagna di Dolce & Gabbana, pu...
-
Istantanee dal mondo della ricerca, firmate dal fotografo Maurizio Galimberti. L'artista ha puntato l'obiettivo sull'Istituto s...
1 commento:
Lo voglio assolutamente leggere, Ieri ho visto l'autore che ne parlava a Linea Notte, Rai 3. Non è che queste cose non abbiano sfiorato la mente di chi segue la moda o simil, solo che pubblicamente non ne parla mai nessuno, ma sono solo elogi sopra le righe di quanto sia incredibile il made in Italy. Elogiare senza fare una critica veritiera fa solo che danni. Se lo possono raccontare tra i soliti "giornalisti italioti", ma solo tra di loro. La stampa estera e chi compra non rimane più abbagliata e si rivolge a nomi nuovi...
Posta un commento