Fisco, la linea dura della Procura con Dolce e Gabbana
Trasferire la sede di una società in un Paese straniero dove si pagano meno tasse, magari in un paradiso fiscale off-shore, può essere considerato, oltre a un modo per evadere il fisco, anche uno degli «artifizi o raggiri» che concretizzano il reato di truffa ai danni dello Stato se si viene a scoprire che quella società in realtà ha sempre continuato ad avere la sua base operativa e a lavorare in Italia? Ne è convinta la Procura di Milano che, dopo averlo già fatto in altre inchieste fiscali, ora contesta questo reato anche alla celebre maison Dolce Gabbana che nel 2004 trasferì la sede operativa in Lussemburgo. I pm milanesi avevano contestato la truffa ai danni dello Stato legata alle evasioni fiscali in altre occasioni che hanno già superato il vaglio dei processi.
Lo hanno fatto con Emanuele Gamna, l’ex legale di Margherita agnelli condannato a 14mesi di reclusione il 30 marzo scorso per truffa ai danni dello Stato ed evasione fiscale. Il processo - rito abbreviato - riguardava una parcella da 15 milioni ricevuta in Italia e in gran parte non dichiarata al fisco. Stessa cosa è accaduta con l’ex ad di Unipol Giovanni Consorte che, coinvolto nelle inchieste sulle scalate bancarie, nel 2008 ha patteggiato con il suo braccio destro Ivano Sacchetti 10 mesi e 12 milioni di euro all’Agenzia delle entrate nel filone sui 50 milioni avuti dalla finanziaria Hopa di Emilio Gnutti per consulenze e rientrati in Italia con lo scudo fiscale. Medesima accusa è ipotizzata dall’aggiunto Alfredo Robledo nell’inchiesta sui Brontos, complicatissimi prodotti fiscali attraverso paradisi fiscali, che coinvolge alcuni colossi internazionali del credito. Impostazione analoga anche dalla Procura di Pescara in un’indagine nella quale i pm Nicola Trifuoggi, Giuseppe Bellelli e Giampiero Di Florio sono stati protagonisti del maxirecupero di 2,8 miliardi di euro consegnati da una ventina di banche (anche in questo caso ci sono istituti internazionali). È una vicenda di crediti legati a convenzioni bilaterali stipulate con alcuni Paesi stranieri per evitare la doppia imposizione fiscale.
E nelle indagini c’è il risvolto, per nulla secondario, della legge 231 del 2001 sulla responsabilità amministrativa delle società che prevede sanzioni pesanti per le aziende inadempienti. Il sostituto Laura Pedio, dopo l’iscrizione di Domenico Dolce e Stefano Gabbana nel registro degli indagati anche per truffa ai danni dello Stato, sta dando gli ultimi ritocchi al capo di imputazione. In Procura, infatti, si sta ancora ragionando su alcuni aspetti tecnico-giuridici prima di fissare gli interrogatori. Ci potrebbe essere il rischio, infatti, di un conflitto tra l’articolo 640 bis del codice penale (la truffa ai danni dello Stato) e l’articolo 4 (dichiarazione dei redditi infedele) del decreto 74/2000 sui reati fiscali. Rischio legato al fatto che il primo reato potrebbe escludere il secondo, con riflessi sulle pesantissime sanzioni fiscali che non sarebbero più applicabili. I magistrati puntano, quindi, su una diversa contestazione: la società che ha una falsa sede all’estero e non presenta la dichiarazione dei redditi in Italia viola l’articolo 5 del decreto (omessa dichiarazione). Così le sanzioni tornano.
La Guardia di finanza di Milano ha concluso da mesi le indagini su D&G mentre l’Agenzia delle entrate sta ultimando i conteggi sulle imposte evase. La contestazione è di 259 milioni di imponibile sottratto al fisco per le annualità 2004, 2005 e 2006 grazie alla «esterovestizione» al centro dell’inchiesta. C’è poi la questione della cessione dei marchi che valorizzano abiti, intimo, pelletteria, orologi, scarpe e profumi noti in tutti il mondo e che nel 2004 dalla D&G srl di Milano sono passati per 360 milioni alla Gado con base in Lussemburgo e controllata dalla Dolce e Gabbana Luxembourg. Secondo quanto anticipato ieri dal quotidiano Il Fatto, si tratterebbe di un’operazione che per l’Agenzia delle entrate sarebbe stata da valutare 700 milioni. Nella relazione al bilancio chiuso il 31 marzo 2008 gli amministratori di Gado scrissero che, nella «linea di composizione della vertenza» scelta «per tutelare al meglio l’immagine del gruppo», le società lussemburghesi sono state riportate in Italia a fine 2007, «pur ritenendo ampiamente resistibili le stesse contestazioni, data l’effettiva residenza lussemburghese della società».
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