Dolce & Gabbana: «In arrivo gli orologi esclusiva dei monomarca. La Borsa? No, grazie»

«Lanciamo gli orologi con un progetto in-house. È una scelta originale, ma nelle nostre strategie future, tranne le licenze con Luxottica per gli occhiali e con Procter&Gamble per il beauty, cercheremo di fare sempre tutto da soli. Non amiamo vedere i nostri prodotti in vetrine che non portino la nostra insegna, mischiati con quelli di altri brand. E poi ci piace l'idea che i consumatori per trovare quel certo prodotto debbano entrare proprio in quello specifico negozio».

Domenico Dolce e Stefano Gabbana sono nel nuovissimo quartier generale di viale Piave a Milano, proprio accanto all'ex cinema Metropol dove si svolgono le sfilate: lì hanno trasferito anche i loro uffici, lasciando la sede storica di via San Damiano. In una giornata dedicata al fitting della sfilata uomo della primavera-estate 2013, raccontano a Moda24 i progetti sul tavolo. Che, con un controllo diretto del business, garantiranno di rafforzare ulteriormente i già elevati margini: nell'esercizio al 31 marzo 2012, Dolce & Gabbana risulta quinto – dopo Gucci, Bottega Veneta, Prada e Tod's – nella classifica delle imprese italiane del settore che guadagnano di più, con un Ebitda stimato nel 25,8% del fatturato consolidato che è stato di 1,12 miliardi, stabile rispetto al 2010-11.

Dunque producete voi gli orologi? 
Ovviamente ci affidiamo a una manifattura rigorosamente Swiss made, una garanzia imprescindibile, anche se non escludiamo in futuro, se il progetto avrà successo, di produrli in Italia. Siamo strenui sostenitori del made in Italy.

Il posizionamento è alto? 
Abbastanza alto, con il top di gamma rappresentato dai pezzi tempestati di pietre preziose che sono molto cari. Ma ci sono anche il solo acciaio e l'oro e acciaio. Le linee sono infatti tre per un totale di 52 orologi, in vendita dal 18 giugno.

I prezzi? 
Sono congrui per orologi allineati dal punto di vista stilistico e tecnico a quelli dei top brand del settore.

Lavorate con un un team di specialisti? 
Sì, perché noi sappiamo fare i vestiti, innanzitutto, anche se poi abbiamo imparato a fare le borse e le scarpe. Gli orologi sono prodotti specialistici e così abbiamo creato una struttura di specialisti che svolgono internamente tutte le fasi: da quando noi due giriamo l'input creativo alla realizzazione del disegno e alla prototipia. Internamente viene anche coordinata l'ingegnerizzazione, mentre costruzione e assemblaggio vengono finalizzati in un laboratorio esterno in Svizzera.

Giravano voci di trattative con Cartier... 
In effetti ci stavamo parlando, ma nulla di concreto.

Quando avete inglobato la collezione giovane D&G nella main collection Dolce & Gabbana avete indicato che il modello è Chanel. 
Per carità, non vogliamo paragonarci a Chanel che è un marchio storico... Con D&G siamo stati bravi e furbi: ci ha dato notorietà e soldi, era realizzato su licenza da It Holding e poi l'abbiamo riportato in casa. Non l'abbiamo eliminato del tutto, perché si vedrà su cinture, borse e ricami, tanto per fare qualche esempio, ma abbiamo aperto la forbice dei prezzi.

Cioè? 
Oggi l'entry price della nostra unica collezione si avvicina molto a quello che era il posizionamento di D&G e poi si decolla verso l'alta gamma. In pratica, nella fascia "bassa" stiamo abbassando il prezzo e in quella alta lo stiamo alzando. È un mix ben miscelato.

Oltre agli orologi quali sono i progetti principali? 
Ci sono tante cose nuove sulle quali stiamo ragionando: con P&G sta già andando bene, soprattutto grazie al lancio dei rossetti firmati da Monica Bellucci, ma a breve ci saranno sia progetti sia prodotti nuovi, inclusa una testimonial a settembre.

E gli investimenti nel retail? 
Abbiamo 187 monomarca e nel 2012 ne apriremo altri 21 in tutti i mercati principali, incluso un flagship store di 1.600 metri quadrati in Fifth Avenue, il nostro terzo punto vendita a New York. Stiamo ampliando anche noi la rete distributiva diretta, ma non vogliamo che diventi un'ossessione: non ci interessa diventare i più ricchi del cimitero! Ci basta diventare grandi e lavorare bene.

Secondo voi ci sono marchi che hanno l'ossessione del retail? 
Certo! Devono vendere, vendere, vendere...

Forse perché sono quotati e dunque hanno alle calcagna gli analisti finanziari che danno giudizi sulle variazioni anche infinitesimali di ricavi e profitti... 
Borsa sì o Borsa no, è uno stile di lavoro: noi due siamo ossessionati più dal progettare. Non ci interessa diventare ricchi: i soldi li abbiamo già fatti e li facciamo, la macchina Dolce & Gabbana funziona. Ci ha sempre soddisfatti di più vedere il nostro marchio indossato dalle persone in giro per il mondo. È un diverso punto di vista.

Nell'esercizio al 31 marzo 2012 il fatturato è rimasto stabile a 1,12 miliardi: tutta colpa della "cancellazione" della D&G? 
Innanzitutto il momento economico non è florido, come tutti sanno. Ciò nonostante noi stiamo continuando a investire e abbiamo aperto anche la nuova sede di sette piani da 600 metri quadrati ciascuno. Le cose funzionano e sapevamo che integrare la D&G nella Dolce&Gabbana avrebbe avuto delle ripercussioni, ma è stata una scelta strategica precisa per preservare il brand il più a lungo possibile, anche quando non ci saremo più. Non è che l'abbiamo deciso perché così cancellavamo quattro sfilate e ci riposavamo di più.

Voglia di ritirarvi? 
Ma no! Io (parla Gabbana, Ndr) compio 50 anni a novembre; io (parla Dolce) 54 in agosto... Mica ce ne vogliamo andare a casa adesso.

A proposito di Borsa, nessun progetto? 
No, non ce n'è bisogno. Nei nostri desideri la Borsa proprio non c'è: saremo piccoli di mentalità... O magari più avanti degli altri! Vogliamo restare liberi e indipendenti.

Non cedereste neppure al corteggiamento di un colosso del lusso? 
Di recente non si è fatto più vivo nessuno, perché tutti sanno che non vendiamo. L'azienda è sana e non ci interessa monetizzare: vogliamo continuare a lavorare tutto il giorno, scegliere i tessuti, fare i vestiti, le borse, gli orecchini e gli orologi.

L'ultima domanda è sul Fisco, ovviamente: come andrà a finire il contenzioso? 
Non abbiamo la sfera di cristallo, ma siamo persone oneste, che hanno sempre pagato le tasse, e tante. L'azienda è formata da 3.300 persone oneste, verso le quali abbiamo un grande senso di responsabilità. Staremo a vedere.

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