Dolce e Gabbana: è merito nostro se gli uomini seguono la moda senza vergognarsi
Un’intervista dopo l’altra, «sono venuti giornalisti da tutto il mondo». Una sfilata imminente «ancora da definire, siamo in ritardissimo». Un maxievento da organizzare, «su quello siamo meno angosciati, tutto procede previsto».
Fino a qualche giorno fa era un cantiere aperto quello dei festeggiamenti per i vent’anni di moda maschile griffata Dolce&Gabbana. La cerimonia è avvenuta il 19 giugno, in pompa magna, in un luogo istituzionale qual è Palazzo Marino, il palazzo della città di Milano, in piazza della Scala.
Era gennaio del 1990 quando Stefano Gabbana e Domenico Dolce, forti dei successi del lancio del loro marchio, avvenuto cinque anni prima, nel 1985, con una sfilata a Milano Collezioni-Nuovi talenti, proposero la loro visione estetica per il maschio di quel nuovo decennio, mandando in passerella l’iconografia della sicilianità in versione rivisitata.
Da allora l’ascesa della griffe che diventa fra le maggiori, per fatturato, nel panorama italiano.
Partiamo dai festeggiamenti: sembra ci sia stata una mobilitazione generale, sindaco, assessori, nomi altisonanti da ogni parte del globo. Perché è così importante per voi questo anniversario?
Stefano Gabbana:
Di più, per noi è importantissimo. Tanto per cominciare, nell’ambito della moda le più interessanti
innovazioni di questi anni sono avvenute nell’abbigliamento maschile e non in quello femminile. Almeno per quanto ci riguarda.
Domenico Dolce:
C’è un altro fattore per noi importantissimo. In vent’anni il fatturato dell’abbigliamento maschile rappresenta il 50 per cento del totale. Siamo fifty-fifty. E questo è abbastanza raro, cioè è difficile che un’azienda sia forte in egual misura sull’abbigliamento maschile e su quello femminile. In genere c’è sempre la prevalenza di uno sull’altro.
Stefano Gabbana:
Sull’argomento ci sono diverse ipotesi di analisti finanziari e di esperti del settore. Io credo che il successo del nostro marchio sia il frutto della nostra generosità. Noi non facciamo il nostro lavoro per soldi, certo sono importanti, ma non sono il nostro scopo principale. Noi ci divertiamo ancora a fare quello che facciamo e impegniamo tutti noi stessi. Credo che questo la gente lo capisca, per questo ci segue.
Però la gran festa del 19 giugno non è per la gente, anzi sembra elitaria.
Domenico Dolce:
Non possiamo invitare tutti, sarebbe bello ma è impossibile. E poi non è una festa elitaria, ci saranno giornalisti, collaboratori, gli amici di sempre. E il sindaco Letizia Moratti che ci rappresenta tutti.
Stefano Gabbana:
Comunque la città di Milano potrà sentirsi partecipe dell’evento, è per i milanesi che sono stati allestiti i totem con monitor ipertecnologici sui quali scorreranno diverse immagini di sfilate e suggestioni visive di grande impatto. E domenica 20 la mostra resterà aperta al pubblico dalle 10 alle 19.
Per i 20 anni della moda donna avevate preparato un libro fotografico. Magari adesso la tecnologia potrebbe rendere desueti certi libri, soprattutto quelli celebrativi.
Domenico Dolce:
La tecnologia non sostituirà i libri, non ci credo e non ci voglio credere. In ogni caso, questa volta di libri ne faremo ben tre, editi dalla Electa e con noti curatori.
Stefano Gabbana:
Però c’è sempre di mezzo la tecnologia, perché avranno un’applicazione iPhone e si potranno sfogliare sull’iPad.
Domenico Dolce:
Il primo libro, 20 years of Dolce & Gabbana, ha immagini di campagne, di celebrities e «quote» di donne note. L’altro libro invece, Icons, è dedicato alla sartorialità, ai dettagli, ai capi iconici, e contiene anche cartamodelli.
Stefano Gabbana:
L’ultimo volume, Fashion shows, è dedicato alle foto di sfilate e backstage di questi 20 anni.
E le icone maschili chi sono?
Stefano Gabbana:
Non lo diciamo, per non rovinare la sorpresa. Comunque si possono immaginare.
Per esempio David Beckham?
Stefano Gabbana:
Beckham ha dato una scossa alla moda maschile, segnando una nuova estetica. Quando noi lo abbiamo conosciuto, non era così famoso, era più famosa la moglie, Victoria. Lui era il marito di… Il nostro incontro è stato casuale e quando abbiamo saputo che gli piacevano i nostri abiti gliene abbiamo mandati. Fino ad allora, e parlo della fine degli anni Novanta, seguire la moda era una prerogativa dei gay. Diciamo che Beckham con la sua bellezza e il suo status di sportivo, sposato, con figli, ha sdoganato certi comportamenti maschili. La catena d’argento al collo, i jeans strappati, la cura della barba esibita in una certa maniera, tutti questi elementi messi insieme hanno convinto i maschi a lasciarsi andare alla cura del proprio corpo e del proprio abbigliamento, senza vergogna.
Domenico Dolce:
Tutti hanno pensato: se lo fa lui, lo possiamo fare anche noi. E il messaggio è stato più incisivo perché Beckham non è mai stato un nostro testimonial di campagne pubblicitarie, quindi è stato visto come un nostro fan.
E se Beckham fosse stato invece che un calciatore uno scrittore, secondo voi avrebbe avuto lo stesso impatto sullo svelamento del narcisismo maschile?
Stefano Gabbana:
Lo scrittore potrebbe affascinare le donne ma non comunicherebbe nulla agli uomini. Lo sport è un mondo di riferimento maschile molto forte e lo sportivo, essendo un uomo pubblico, è colui che esteriorizza la propria mascolinità e quindi virilità.
Domenico Dolce:
Diciamo che lo scrittore non è un condottiero.
Questo ve lo confermano i messaggi che ricevete su Facebook o Twitter?
Stefano Gabbana:
Il popolo della rete ci segue moltissimo. Su Twitter ho 23 mila «follower» ai quali rispondo personalmente, a differenza di Facebook, che invece è seguito dal nostro ufficio new media. Da un anno e mezzo mandiamo filmati su Youtube che magari anticipano la collezione, anche la conferenza stampa e la stessa sfilata vanno online in diretta. Alla gente piace sentire da noi direttamente cosa pensiamo e cosa facciamo.
E in sintesi, passando a ciò che avete fatto, quali sono i capi iconici di questi vent’anni di moda maschile?
Stefano Gabbana:
Canottiera, coppola, pantaloni stretch, abito a due bottoni con cravatta nera stretta e camicia bianca, maglieria patchwork, denim rotto.
Ma quanto vi ha ispirato la famosa canottiera bianca di Umberto Bossi proprio dei primi anni Novanta?
Domenico Dolce:
Al contrario, è stato lui a essere ispirato dalla nostra moda. E dalla sicilianità.
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