Cosa comunicano i brand di moda?



Il titolo “Filosofia dei Linguaggi della Moda” fa pensare ad uno studio teorico e potrebbe scoraggiare i più arditi pronti ad affrontare un volume di 800 pagine e dalle molte fotografie. Si tratta invece di un rapporto di ricerca, - rapporto di analisi secondo i curatori del testo -, successivo all’ applicazione del metodo SOFIA alla comunicazione di 100 brand internazionali di moda. La metodologia in questione – Semantic Open Framework Interpretative Analysis (SOFIA)- è stata elaborata dalla società Morris, Casini & Partners con l’ausilio di esperti di varie discipline. 

Presentato a Roma durante AltaRomAltaModa del luglio scorso, il testo si qualifica come un ottimo strumento di lavoro per utenti con finalità diverse. Un approfondimento per chi si occupa delle campagne pubblicitarie, non solo dei brand citati, ma chiunque voglia affrontare una campagna pubblicitaria nel campo dell’abbigliamento; per il fotografo che nei suoi scatti sintetizza concetti e suggestioni, tutto un linguaggio di comunicazione del quale spesso i protagonisti - stilisti, addetti alla comunicazione, fotografi stessi - non sembrano coscienti; per chi fa giornalismo di moda e vuole imparare a leggere le campagne pubblicitarie non solo partendo dalla sua intuizione, ma con qualche strumento scientifico.

Senza dubbio il titolo pone domande domanda sul contenuto del testo. 

Se è un dato di fatto che possiamo studiare la Filosofia del linguaggio, non è invece scienza acquisita la Filosofia della moda. Di fatto ci si chiede come l’effimero (la moda) possa essere annoverata nella scienza che cerca l’universale e si pone domande di senso sull’oggetto in studio. La moda è un fenomeno culturale o meglio un pezzo tra le infinite tessere che compongono il quadro culturale delle epoche storiche e quindi della nostra attuale; è fenomeno che tocca da vicino l’uomo, quindi ha molto da spartire con l’antropologia. Dice Lars Fr. H. Svendsen, giovane filosofo norvegese, nel testo - dal titolo preciso “Filosofia della Moda” (cfr. articolo su Imore), ampliamente citato nell’introduzione del volume che stiamo esaminando e a giustificazione di un tentativo di approccio filosofico alla moda: “Se la filosofia è la disciplina che aiuta a comprendere se stessi, e se la comprensione del concetto di moda può contribuire alla conoscenza di noi stessi e dei nostri comportamenti, allora la moda merita di essere presa in seria considerazione quale oggetto di indagine filosofica”. Messo in chiaro quale può essere l’approccio filosofico alla moda, - cioè il fatto che la moda può contribuire a comprendere la specifica visione antropologica di un concreto momento culturale -, vediamo come possiamo giustificare un approccio filosofico ai linguaggi della moda.

Ci sembra doveroso a questo punto avvisare il lettore/studioso che non può prescindere dalla lettura attenta dell’introduzione, se di fatto vuole comprendere le osservazioni che successivamente vengono elaborate per le campagne pubblicitarie esaminate. La materia non è semplice perché i nostri ricercatori prima, e autori dopo, hanno fatto ricorso a molte scienze: filosofia del linguaggio, e analisi del linguaggio e della comunicazione, per leggere e scomporre il messaggio rappresentato; sociologia e antropologia per elaborare una lettura – intellettura - filosofico/antropologia delle immagini; marketing, come sfondo pratico di un discorso, per sè teorico, che possa aiutare gli addetti alla comunicazione di moda a determinare i messaggi realmente percepiti dall’osservatore-acquirente-fruitore del prodotto moda, rispetto al messaggio che il team addetto alla comunicazione pensava di veicolare. 

Il testo parte da dati assodati - la moda, il vestito come comunicazione e come linguaggio -, per approdare al fatto, anche esso assodato da tempo, che l’immagine pubblicitaria utilizzata dai brand è un linguaggio comunicativo nel quale è possibile leggere un messaggio, una concezione antropologica di uomo o donna , una idea, uno stile di vita, un aspetto della cultura del momento. Riprendendo il filo di quanto detto sopra a proposito della possibilità di elaborare una “filosofia dei linguaggi della moda”, apprezziamo il fatto che nel titolo si parli di linguaggi e non di linguaggio che avrebbe indicato un discorso univoco impossibile all’interno del tema della moda. Il linguaggio della moda è linguaggio suggestivo, comunica sensazioni, emozioni, suggestioni, appunto in quanto è in grado di caricare di senso un oggetto che ne è privo, assegnandogli un significato che prima non possedeva e che può mutare a seconda del clima culturale. Basti pensare al passaggio che si opera nel momento in cui in cui una borsa “qualsiasi” dovesse essere arricchita dall’ideogramma di YSL o di LV; o al diverso significato che il jeans ha acquisito nella sua lunga storia. Il valore simbolico ed economico del pezzo cambia e sale alle stelle al di là del valore oggettivo, per esempio del jeans. Ripetiamo quindi anche per i “linguaggi della moda” che l’ approccio filosofico può essere giustificato solo per il contenuto antropologico e culturale che esprimono. 

Gli autori del metodo SOFIA, per poter esprimere con coerenza e una certa uniformità, i messaggi contenuti nelle immagini esaminate, hanno cercato di individuare, nel linguaggio della comunicazione di moda, dei tratti semantici semplici già portatori. di significato: ad esempio comodo, cool, funky, eccentrico, femminile, fashion, seducente, tecnologico, volgare, raffinato, rioroso, ecc. Questi elementi sono stati raggruppati in 7 "famiglie semantiche". Pur riconoscendo il valore di questo primo lavoro fatto, per quanto riguarda la denominazione e i raggruppamenti non siamo del tutto concordi. Ad esempio la famiglia semantica “creatività” contiene termini come etnico, innovativo, surreale o tribale dal contenuto semantico molto vario; oppure “trasgressione” spazia danoioso a scabroso. Nel momento in cui trasgressione viene assegnata ad una immagine non è dato sapere a quale tratto semantico ci si sta riferendo.

Il testo esamina 100 brand internazionali. Riporta per ognuno una breve storia dell’azienda, esamina la tipologia del prodotto e il target e ciò è molto preziosi. In fine analizza – con l’ausilio di foto- per ognuna delle aziende esaminate, l’ultima campagna pubblicitaria , ponendola in raffronto con precedenti. Vengono quindi applicate le famiglie semantiche ed esaminato il contenuto ideologico della campagna facendo quella che gli autori chiamano intellettura, una lettura dei messaggi culturali e antropologici contenuti nella comunicazione. E’ questa la parte più significativa ed interessante, in grado di fornire una metodologia di esame e di lettura di immagini fotografiche non da parte di chi le crea, ma di chi le osserva. 

In alcuni casi il lettore può esprimere una non conformità con lo scritto o addirittura una difficoltà ad individuare nell’immagine ciò che è descritto, ad esempio alcune espressioni per Alberta Ferretti. Ma questo è nella natura dell’oggetto in studio. 

Altre volte, per esempio Dolce e Gabbana, parrebbe che la descrizione non si riferisce alle immagini riportate e di fatto potrebbe esserci stata una svista dell’editore nella scelta delle foto o nel tagliarle che non permette di visualizzare ciò che viene detto. 

Qualche altra piccola imprecisione di stampa o ripetizione che fanno pensare a un po’ di fretta per mettere a disposizione il testo nell’occasione dell’evento romano di luglio. Nel complesso però il giudizio è positivo.

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