Dolce & Gabbana: 'Il futuro della moda? Ve lo diciamo noi'

Questo non è e non vuole essere un classico articolo, né un pezzo d’informazione e tanto meno di denuncia. Non siamo giornalisti, non è il nostro mestiere. Quello che ci piacerebbe fare è aprire un dibattito, su queste pagine, sul futuro della moda italiana e sui giovani che potrebbero costruirlo. Perché questo sì che è il nostro ambito e ci sta molto a cuore. Spesso sentiamo ancora espressioni del tipo: «I due ragazzi del made in Italy», oppure: «La giovane coppia dello stile italiano» e ancora: «I due giovani talenti». E a quel punto ci chiediamo: «Ma di chi stanno parlando? Di noi?». Certo, siamo ancora giovani, anagraficamente, ma la Dolce e Gabbana è nata nel 1984, cioè quasi 25 anni fa. Abbiamo ormai perso il conto del numero delle collezioni e delle sfilate presentate. Eppure continuiamo a essere definiti i giovani della moda italiana. Ci fa piacere, ma non è possibile! Noi soffriamo del fatto che quando si parla del futuro della moda negli altri paesi si fa riferimento ai giovani, cioè agli esordienti, alle nuove leve mettendoli in vista, offrendogli delle possibilità concrete. Negli Usa, a ogni stagione c’è qualcuno nuovo che sfila, in realtà poi nessuno riesce a spiccare il volo. In Francia, tutti i giovani nelle maison importanti sono italiani come Riccardo Tisci, Stefano Pilati, Giambattista Valli. E noi, in Italia, perché restiamo fermi? Senza entrare in polemica con il sistema moda che, senza dubbio, non mette volutamente il bastone tra le ruote, però è arrivata l’ora di fare qualcosa. Si potrebbe per esempio partire dall’organizzare un calendario sfilate di quattro o cinque giorni, dalle 10 della mattina alle 5 del pomeriggio, durante i quali sfilano due grossi nomi al giorno e poi solo nuove promesse. Tutti gli altri, prontisti, confezionisti, copiatori e seri produttori di abbigliamento, i quali hanno diritto a una vetrina, sfilano in un’altra settimana. In fondo, i due ambiti sono molto diversi. Ma facciamo un passo avanti e, senza riserve, citiamo pure i nomi dei ragazzi che ci piacciono e che suggeriamo di tenere d’occhio. Uno è Francesco Scognamiglio, un trentenne di Pompei con molta grinta, le sue proposte hanno impatto, sono glamour e la sua forza sta nell’essere estroverso, quindi poco incline ai compromessi. Mentre molto più intimista è Gabriele Colangelo, un ragazzo di Milano, anche lui di trent’anni, molto abile nell’uso dei tessuti e che ci appare più poetico, più legato a una narrazione romantica della femminilità. Ci piace molto anche Bianca Gervasio, pugliese, nuova designer di Mila Schön, una delle poche che sta rispettando lo stile della maison in cui lavora. Lei ci sembra molto abile e tecnicamente preparata, cosa da non sottovalutare, perché i vestiti vanno guardati, ma anche indossati e il made in Italy è su questo savoir faire che si regge ancora. Non conosciamo altrettanto bene il lavoro di Silvio Betterelli, ma anche lui ci sembra che abbia il mestiere in mano. Questi ragazzi non sono nostri protégé, non hanno mai lavorato nel nostro ufficio stile e non abbiamo nessun secondo fine nel segnalarli. Sentiamo semplicemente il bisogno di mettere fine all’omertà degli stilisti sulle nuove generazioni. I ragazzi vanno aiutati, supportati, incoraggiati. È difficile emergere, non è da tutti. Lo diciamo sempre ai nostri. Abbiamo appena preso quattro nuovi assistenti nell’ufficio stile, sono tutti italiani, casualmente del Sud, uno proviene dallo Ied e gli altri tre dalla Marangoni, sono bravissimi e, forse, sono stati fortunati a essere stati scelti. Ma gli altri non devono scoraggiarsi, anche noi abbiamo preso molti pesci in faccia, abbiamo subito sgambetti, ma eravamo in due e ci facevamo forza a vicenda. La parola d’ordine è: insistere. Il fuoco della passione è alla base di tutto, non c’è marketing che tenga. Questo è un mestiere che parte dal cuore, passa dal cervello e arriva alle mani: serve un pensiero personale che ti renda libero e ti faccia uscire dal coro e poi un’abilità nel tagliare, cucire, spillare. Perché saper disegnare non basta. Questo è lo stilista. Mestiere forse in via di estinzione. Inoltre occorre fidarsi del proprio istinto e saper leggere le critiche, sia quelle fatte per gelosia che quelle costruttive. Non è facile ma è importante imparare a farlo. E ora, in un momento di crisi come l’attuale, forse è proprio il caso di picchiare duro: perché i giovani possono trovare i loro spazi e i big avere maggiori stimoli e competizioni. E dal momento che questo, come si diceva all’inizio, non è un classico articolo, quello che ci aspettiamo è una risposta. Dai giovani della moda italiana. Le vostre visioni, le vostre perplessità, le vostre critiche sono la nostra ricchezza.

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