Dolce e Gabbana: Non fu evasione, tutto alla luce del sole
Nessuna truffa fu messa a segno da Domenico Dolce e Stefano Gabbana, perché i passaggi che portarono alla costituzione di una società a loro riconducibile in Lussemburgo, dove vige un sistema fiscale agevolato, avvennero «alla luce del sole». Lo spiega il gup Simone Luerti nelle motivazioni della sentenza che ha assolto i due stilisti, il 1° aprile scorso, dalle accuse di truffa ai danni dello Stato e infedele dichiarazione dei redditi per circa un miliardo di euro. L'ipotesi della Procura era che i due creatori di moda avessero aperto in Lussemburgo una società, la Gado srl, per lo sfruttamento dei marchi per non pagare le tasse in Italia.
ALLA LUCE DEL SOLE - «La contestata natura artificiosa delle condotte poste in essere a vario titolo dagli imputati - osserva il gup nelle 29 pagine della motivazione del verdetto, depositate oggi - non è affatto scontata né evidente. Oltre alla cessione dei marchi non fittizia, si osserva che l'intera operazione si è realizzata alla luce del sole, dagli incarichi ai professionisti agli atti costitutivi delle società, alla loro denominazione. Appare singolare - continua Luerti - una truffa il cui congegno artificioso forma oggetto di contratti e relazioni scritte dalle parti, come dimostrano le missive tra Luciano Patelli (commercialista del gruppo, anch'egli assolto, ndr) e il management di D&G».
LA SOCIETA' GADO - Il gup, pur sottolineando che nel processo in esame il fatto storico è compiutamente accertato e sostanzialmente non controverso tra le parti, trattandosi soprattutto di materia altamente tecnica e prevalentemente documentale», dà una diversa interpretazione della realtà dei fatti dal punto di vista del diritto penale rispetto alle conclusioni tratte dal pm Laura Pedio. Questa contestava a Dolce e Gabbana una maxievasione fiscale su un imponibile di circa un miliardo (416,8 milioni ciascuno), esercitata attraverso il trasferimento formale nel 2004 di una loro società in un paradiso fiscale, il Lussemburgo, con il solo scopo di pagare meno tasse in Italia, dove però l’azienda continuava a suo avviso a operare regolarmente. L’operazione è stata realizzata attraverso la cessione dei marchi della maison, che garantiscono royalties per milioni e milioni di euro, alla «Gado srl» (acronimo di Gabbana e Dolce), controllata dalla Dolce & Gabbana Luxembourg per 360 milioni. Una stima secondo l’accusa eccessivamente al ribasso e, dato che i brand della maison fondata nel 1985 era stato stimato in 1.193.712.000 euro, l’operazione avrebbe consentito un risparmio notevole sulle imposte da pagare per il profitto realizzato.
ELUSIONE FISCALE - Ora però Luerti sostiene che «nel caso in esame, nulla dice - e nulla dirà mai - che Domenico Dolce e Stefano Gabbana hanno effettivamente percepito dall’acquirente Gado srl (e poi occultato) un corrispettivo superiore a quello dichiarato di 360 milioni di euro in violazione dell’articolo 4 del decreto legislativo 74/2000. Non sono dimostrate, ma soprattutto nemmeno affermate, la tenuta irregolare delle scritture contabili, né meno che mai l’esistenza di una contabilità "in nero" (...). Al contrario, tutto lascia deporre per l’effettività di quel prezzo». Piuttosto, secondo Luerti, «le condotte contestate integrano palesemente una delle molteplici forme che assume l’elusione fiscale, il cui rilievo penale tributario è tutto da verificare».
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