Vogue intervista Dolce & Gabbana
Com'è nata l'idea di trasformare un piano di Spiga 2 in un multi brand per ospitare le collezioni di giovani designer?
L'idea ci è venuta tre anni fa, poi si è arenata perché siamo stati coinvolti da altre iniziative. A gennaio abbiamo deciso di riprendere in mano il progetto di Spiga 2, sentivamo l'esigenza di fare qualcosa di concreto per i giovani talenti. Del resto ci siamo passati anche noi e sappiamo tutti i problemi a cui va incontro un creativo agli esordi. Quindi abbiamo deciso di dare a questi giovani la possibilità di presentare i loro capi, di renderli visibili. E anche la possibilità di lavorare e di guadagnare. In fondo la moda non è solo creare abiti, è anche un business.
È vero che avete scelto voi personalmente i ventiquattro designer in vendita in Spiga 2?
Sì. Abbiamo cercato su internet i nomi dei designer più promettenti e abbiamo scelto quelli più interessanti. Poi abbiamo assunto un buyer che si occupasse degli acquisti per il multibrand. Ogni collezione presente all'ultimo piano di Spiga 2 è per metà commerciale, scelta dal buyer, e per metà scelta direttamente dallo stilista. Non volevamo tarpare le ali ai giovani talenti e presentare solo l'aspetto più business delle collezioni.
Parlando di giovani talenti, che cos'è il talento per voi?
Un insieme di qualità. Avere un punto di vista e saperlo esprimere e comunicare in maniera semplice e facile, attraverso un messaggio comprensibile. Il talento di un designer sta nel fatto di disegnare abiti che vengano capiti.
Voi vi siete mai considerati giovani talenti?
Giovani sì, talentuosi non lo sappiamo… sta a voi dirlo.
Scovare nuovi designer, conoscere le loro collezioni, com'è stata questa attività di scouting?
Non è stato uno scouting. Spiga 2 è stata una scelta legata al voler sperimentare un nuovo punto di vista: quello di mescolare i nostri accessori con gli abiti di designer emergenti e sconosciuti ai più. Non volevamo che Spiga 2 fosse solo un monomarca. Del resto nella vita reale sono poche le persone che si vestono con il total look, la maggior parte invece mischia brand diversi e stili differenti.
Che consiglio dareste ad un giovane designer? Meglio partecipare ai concorsi per giovani talenti o "farsi le ossa" in un ufficio stile?
Secondo noi, i concorsi sono importanti, danno visibilità, ma l'esperienza che ti fai lavorando come assistente di uno stilista è essenziale. In atelier, a contatto con il designer, impari tutto quello che non devi fare, mentre quello che senti di voler fare non lo impari, ma viene direttamente dal cuore.
Per avere successo bisogna essere sia creativi che business-oriented?
Si deve sviluppare sicuramente un lato imprenditoriale, accanto ad un'anima creativa, ma è una cosa che vien da sé con il tempo. Noi abbiamo avuto la fortuna di avere la capacità e la possibilità di crescere lentamente. Non bisogna mai avere fretta. Certo tutti sperano di arrivare velocemente, però, da uomini maturi, possiamo dire che è la cosa peggiore. L'impiegare più tempo ti permette di guadagnare l' esperienza necessaria per arrivare al tuo obiettivo.
Il successo si costruisce in due?
Per noi è stato così. Ma se ci pensi anche per altri stilisti come Yves Saint Laurent e Pierre Bergé: ogni designer ha sempre un braccio destro.
E voi come siete arrivati al successo?
Più di venticinque anni fa, Beppe Modenese, ci ha invitato a sfilare a Milano Collezioni. Eravamo tre coppie di giovani stilisti e oggi siamo qua.
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