Dolce & Gabbana Uomo a/i 2012/13: Review

La romanza è la più bella espressione della musica italiana. Le romanze cantate da Luciano Pavarotti sulle musiche di Giuseppe Verdi, poi, rappresentano quella italianità sana di cui non si è fortunatamente perso il ricordo, ma che - appunto - oggi appare un ricordo. Portare all'attualità un ricordo è un'operazione sempre molto ardua, perché il rischio è quello di cadere nella nostalgia. Non c'è nostalgia, invece, nellacollezione uomo autunno-inverno 2012-13 di Dolce & Gabbana, presentata con la colonna sonora di arie verdiane interpretate da Pavarotti, che pure porta all'attualità il ricordo di un modo di vestire di quella italianità sana di cui resiste il ricordo, soprattutto in quell'applicazione sartoriale che rappresenta una delle più evidenti caratteristiche stilistiche della coppia creativa più famosa della moda internazionale.

Abiti, giacche e soprattutto i cappotti - che rappresentano un po' gli highligths della collezione -sono tagliati come nelle più sofisticate sartorie ma risultano con una silhouette moderna grazie a nuovi volumi, più ampi, e alle lavorazioni che ben si adattano ai tagli e alla ricercatissima definizione dei ricami di filigrana d'oro che, mentre conferiscono al capo un aspetto vissuto, riportano alla memoria le volte delle chiese barocche. O meglio, i ricami delle divise reali dei Borboni, nelle loro più autentiche declinazioni del lusso barocco, quando i tagli degli abiti e le decorazioni servivano non solo a esprimere un potere ma un gusto. Perché il gusto è anche un'espressione dell'alto e del basso, dove le decorazioni non servono se c'è la forma: e qui Dolce & Gabbana giocano la carta da maestro della "tistera", la mantella indossa nelle campagne siciliane, a cui viene aggiunto un cappuccio. Tra i capi iconici, oltre agli abiti realizzati nei tessuti classici della sartoria e alle giacche nere con i revers di raso, anche le coppole assumono un nuovo aspetto: ricamate anch'esse con filigrana d'oro con disegni che fanno pendant con quelli dei calzettoni di lana. 

Perfino l'abbigliamento intimo riporta a un bel gesto del passato: tutto in maglina di lana a coste, grigio o beige in toni scuri. Era dagli inizi degli anni 2000, quando Dolce & Gabbana portarono in passerella meravigliose giacche maschili decorate con pietre dure incastonate e ricami con filo dorato che ricordavano le pianete indossate dai celebranti nelle cerimonie religiose, che non si vedeva sulle passerelle una collezione così precisa nel raccontare un sogno barocco. Questa volta, il racconto appare scritto con un iPad, se questo strumento si assume come paradigma della modernità. Che qui è allestita in una messa in scena emozionale degna della scuola zeffirelliana dei teatri d'Opera.



Il futuro ha nostalgia. Il nuovo deve sembrare vecchio. Uno è meglio di due. Benvenuti nello stile di Dolce & Gabbana, una virata di rotta che riporta in auge il classico completo maschile, la mantella, il panno di lana. La tradizione maschile, insomma, rivista nei dettagli e nei lavaggi dei tessuti "per far sembrare antico e pieno di sapore ogni capo", raccontano i due stilisti pochi minuti prima dello show. E infatti ogni look sembra quasi uscito da un mercatino vintage perché "oggi i giovani scambiano il passato per sicurezza e chiedono agli abiti di assomigliargli fino a riportarne le sfumature del tempo".



E l'avanguardia? Sta tutta nella nostalgia, il sentimento più contemporaneo che ci sia, almeno secondo i designer. Non a caso, la colonna sonora dello show rispolvera Luciano Pavarotti, all'apice della carriera, mentre canta "La donna è mobile" dal Rigoletto, il Brindisi della Traviata, e aria e più cabaletta "Di quella pira" dal Trovatore di Verdi.
Insomma, un'ouverture operistica, un preludio che fa da spartiacque tra ieri (quando c'era ancora D&G) e oggi (quando c'è solo Dolce & Gabbana). E via, quindi, con il valzer dei ricordi. Dall'armadio del padre di Domenico Dolce esce una mantella che diventa cappotto e cappa. Dagli archivi di maison, ritornano il panno di lana e il mitico gessato riproposti appena sgualciti nei lavaggi. I revers si rompono, come per mostrare la sartoria sotto la forma; e le maglie si arricchiscono di lavorazioni inedite.
Due i colpi di scena: il primo barocco, con orpelli dorati da teatro all'italiana che vengono cuciti dappertutto, tramite la filigrana, su giacche, cappoti, calze, anfibi e maglioni. Il secondo più dandy, con il pigiama a far irruzione nella sera tra le giacche da smoking.
Gli attori italiani Giuseppe Fiorello, Francesco Scianna, Filippo Nigro, Thomas Trabacchi, Primo Reggiani e Chiara Francini, protagonisti della nuova campagna degli stilisti, applaudono in prima fila, mentre la modella Bianca Balti si lascia accarezzare dai flash: insieme, rappresentano la cigliegina sulla torta italianissima cucinata da Domenico e Stefano, un dolce all'antica che si prepara a catturare i palati nostalgici delle fashion victim di tutto il mondo, clienti che chiedono l'Italia e la sua estetica anche quando le agenzie di Rating ne declassano il valore.
Ciò che, forse, manca è quella vena di goliardia e di gioco a cui ci aveva abituato D&G, la linea più giovane assorbita dalla genitrice. Ma questo è il nuovo corso della maison: niente grilli per la testa, niente sperimentalismi o avanguardie azzardate. Oggi occorre essere chiari, lapidari, facilissimi. E trasformare la propria estetica in tradizione. E il proprio Paese, almeno quella da cartolina, in un abito.
Rigoletto e Trovatore. Verdi sulla passerella di Dolce e Gabbana. L'Italia tutta, con Pavarotti che canta le eterne romanze. La cultura della nostra musica così come la cultura della nostra alta sartoria. Le chiamano le eccellenze del bel Paese.

"Il fatto è che noi siamo figli di Michelangelo, di Leonardo", dicono con orgoglio Domenico Dolce e Stefano Gabbana. La loro sartoria, questa volta, si fa barocca. "Barocco ristudiato nei volumi, nei tagli, nelle costruzioni, ovviamente. Si reinterpretano i classici maschili".

E' un signorotto siciliano quello sfila, sullo sfondo stralci di una soffitta di un palazzo fanè (o di un teatro dove si sta recando il nostro uomo?). Ma non c'è nulla che puzzi di muffa o naftalina in quelle braghe dal cavallo basso, a volte corte ben oltre la caviglia e da cui spuntano calze ricamate, o in quelle giacche dalle spalle costruite ma senza spalline, in quelle preziose applicazioni di filigrana d'oro che ricorda le volute delle chiese. Anzi.

Tutto è estremamente contemporaneo ma vissuto, moderno ma con una storia ben precisa. Rassicurante. "Ai giovani piace qualcosa che ha avuto una vita, che possa dare sicurezza perchè spesso il nuovo fa paura. Se fai una collezione dedicata allo spazio, puoi essere certo che non andrà bene".

C'è la mantella (la tristera, in siciliano) tratta da un cartamodello del padre di Domenico. E poi settanta (sì, proprio settanta!) cappotti, uno diverso dall'altro, tanto per ribadire che il prossimo inverno il cappotto la farà da padrone. Tanto per ribadire quanto gli uomini abbiano voglia di eleganza, quella vera, quella dimenticata per troppo tempo. I tessuti cardati sono quelli tipici della sartoria classica ma bolliti, dipinti, usurati.

La collezione è tutta nei toni del grigio con tocchi di bordeaux, verde bottiglia e giallo oro nella seta dei pigiami. Anche gli accessori hanno un ruolo di rilievo dalle scarpe papali con punte squadrate alle ghette ricamate a quelle effetto broccato in velluto lavato. Il vezzo di una coppola o di un papillon a fiocco. C'è sentimento in quel che si vede, ricordi di film in bianco e nero, personaggi impressi nella pellicola che sanno dare sensazioni forti.

"Cè bisogno di valori che ti facciano sentire bene: la famiglia, gli affetti, gli amici, il lavoro". Tutto ruota ci ruota intorno. "Ci possono togliere i soldi ma non i sogni".
Forte, e giovane, e' il fascino del vissuto sulla passerella di Dolce & Gabbana. Quell'aria consumata e invecchiata, che un tempo viveva di jeans strappati, ora ha bisogno di grisaglie sartoriali e di tweed importanti, di materiali maschili che sembrano tirati fuori da una soffitta e che invece sono il frutto di lavaggi e cardature, trattamenti e ricami. Una collezione per niente povera e minimalista, anzi: spiccano, qua e la', anche le stravaganze dei ricami barocchi da chiesa, in oro antico, sulle lane grigie e corpose, sulle calze, sulle scarpe grosse e sui cappotti piu' coraggiosi. Dolce & Gabbana fanno una moda all'italiana, meta' industriale e meta' artigianale, classica e insieme creativa. E hanno antenne lunghe per captare le nuove voglie: le onde radio del gusto trasmettono la passione per tutto cio' che e' usato, a partire dalle scarpe, dappertutto vendute gia' macchiate, con la punta e il tallone consumati.

A sentire i due stilisti, il messaggio proveniente dal mondo giovanile (non necessariamente giovane in senso stretto) e' preciso: ''il vissuto da' sicurezza, il nuovo spaventa. Se provi a fare una collezione dedicata allo spazio - dicono Domenico Dolce e Stefano Gabbana - la vendi malissimo, devi sempre metterci qualcosa che sappia di baule. Anche nella nostra moda contano i valori fondamentali, che per noi italiani sono la famiglia, gli affetti, gli amici e il lavoro''. Cio' premesso, la sfilata - tutta sulle note di Verdi (e con l'emozionante voce di Pavarotti) - e' presto spiegata: i capi spalla hanno una storia, hanno il sapore dei ricordi. C'e' la mantella da uomo, una 'tistera' siciliana del padre di Domenico, che ha ritrovato a casa il cartamodello originale. Ci sono le giacche sartoriali con spalle perfette ma non imbottite, i palto' a martingala, i calzoni comodi eppure classici, lo smoking con i revers di seta lavata, le pellicce di montone invecchiato.

La collezione e' un inno al cappotto, quello vero, pesante, con quell'aspetto massiccio che rende uomo qualsiasi giovanotto e fa piazza pulita degli insignificanti spolverini e dei capi tecnico-sportivi: il finale ne schiera 70 tutti insieme, da giorno e da sera, un bel colpo d'occhio. Tutto e' leggermente liso, un po' infeltrito dai lavaggi, ma il risultato resta morbido, confortevole, per niente sciatto e scontato non fosse altro per i preziosi ricami che danno il nome alla collezione: 'Sartoria barocca'. Un aggettivo che e' anche ''un messaggio positivo. Noi italiani - dicono Domenico e Stefano -siamo creatori incredibili, ci rialziamo sempre: ci possono togliere i soldi ma non i sogni. Abbiamo superato tutte le crisi, supereremo anche questa''.
 Un cappotto per sentirsi più sicuri. Il casual è morto, viva la tradizione sartoriale rivisitata con gli occhi di oggi. Settanta paltò usurati scorrono sulla passerella di Dolce & Gabbana. In tweed e grisaglie, sembrano usciti da un vecchio baule.
Invece sono strapazzati da lavaggi e cardature, da trattamenti sofisticatissimi, pitture e ricami di filigrana d’oro, come le decorazioni talari delle chiese barocche. «Il sapore dell’usato ha qualcosa di familiare, per questo piace ai giovani, li conforta. Il nuovo spaventa sempre. Se fai una collezione sullo spazio la vendi malissimo!», spiegano i due stilisti che ancora una volta sublimano l’italianità e le sue radici.

«Famiglia, affetti, lavoro e valori sono fondamentali nella nostra cultura, ti accarezzano, te le porti addosso sempre. Nel guardaroba si traducono con capi che sembra trasudino storia, piacevoli al tatto, consolatori, morbidi». Gli stessi concetti si riassumono nella campagna pubblicitaria seppiata che incornicia i momenti più belli: matrimoni, battesimi, incontri con gli amici al bar.

«A noi italiani possono togliere tutto, ma non i sogni. E alla fine ci rialziamo sempre». Pavarotti canta Verdi e i ricordi riaffiorano sulla pedana dov’è stato ricostruito un salotto di stucchi e velluti, con divanetti in broccato liso dal tempo. Industria e artigianalità vanno a braccetto.

Il corpo degli uomini è cambiato, si è asciugato, è scattante, sportivo, meno palestrato. Lo sottolineano nuovi volumi, ampi, spalle perfette senza bisogno d’imbottiture, pantaloni larghi sopra e stretti sotto, conclusi da scarpe con le ghette consumate, macchiate, proprio quelle che adesso fanno impazzire i ragazzi. E poi c’è la mantella «Tistera», che si usava per andare sui muli.
«Ispirata a un vecchio cartamodello del padre di Domenico. L’abbiamo rielaborata doppiata, tagliata al vivo». Ma su tutto trionfa quel cappotto pesante che sfratta bomber e spolverini regalando subito un aspetto virile anche al più sbarbatello degli adolescenti.

I SI e i NO della Collezione Dolce & Gabbana:

Sì: il tabarro, fosco, drammatico ma molto mascolino. Il ritorno di un grande classico, che finora aveva resistito solo tra melomani e a Venezia.
No: i pantaloni alla zuava. Una lunghezza ibrida che, lontano dalla passerella, rischia il ridicolo.
Sì: la t-shirt di flanella spessa ricamata, giusto compromesso tra strada, virilità classica, opulenza barocca.
No: la giacca nera con i jeans. Gli anni zero sono ormai un ricordo lontano - grazie al cielo.
Sì: il cappotto scuro da sera, perché non è affatto vero che il piumino è un passepartout
No: le giubbe ricamate come uniformi asburgiche. La moda mica è costume. O no?
«Ci possono togliere i soldi ma non i sogni» dicono Domenico Dolce e Stefano Gabbana poco prima di far sfilare la loro collezione uomo del prossimo inverno. La prima uscita è una mantella con cappuccio, rifacimento contemporaneo della cosiddetta «tistera» che i siciliani usavano per andare in campagna sul mulo. 

I due stilisti raccontano di essersi ispirati al cartamodello originale fatto negli anni Quaranta da Saverio Dolce, padre di Domenico, valente sarto in quel di Polizzi Generosa, lo stesso paese nel Parco delle Madonie da cui emigrarono i nonni di Martin Scorsese.
A quel punto ti viene in mente che in Sicilia le mantelle venivano chiamate anche «cummagghia miserii», letteralmente «copri-miseria» e non capisci perch´ i due stilisti abbiano parlato di sogni e di questa terribile crisi che secondo loro supereremo perch´ noi italiani abbiamo un cuore e quando lo buttiamo oltre l'ostacolo siamo imbattibili. Il messaggio arriva forte e chiaro con l'ultima uscita: 70 cappotti di una bellezza senza confini, autentici capolavori sartoriali che vanno dal pastrano di foggia militare interamente coperto da ricami talari al classico doppiopetto nero con collo e interni di astrakan. Con questa bella sfilata Dolce&Gabbana invitano a sognare un futuro che affonda le sue radici nel passato e ne riscopre stagione dopo stagione l'inossidabile modernità. Dopo la mantella nera ne appare una decorata con gli stessi preziosissimi ricami d'altare che a un certo punto compaiono perfino sugli accessori: dalle scarpe alla coppola passando per i calzettoni di lana, talmente preziosi da giustificare quella difficile lunghezza dei pantaloni alla zuava. Lane cotte, bollite, stropicciate insieme con il filo dorato dei ricami apparentemente ossidato dal tempo, permettono di costruire un guardaroba maschile ad alto tasso di concretezza per poi arrivare a quei magnifici paltò che rappresentano idealmente l'uscita dalla povertà. Ecco quindi perch´ ci piace pensare che questa prima giornata di sfilate maschili a Milano sia una risposta elegante e garbata a chi ritiene l'Italia un Paese di serie B.
Il cappotto è protagonista, disegnato in varie forme e proporzioni, passando da quello per il giorno a quello per la sera fino a diventare mantella, chiamata tistera nelle campagne siciliane. Per un'allure retrò di grande eleganza

I tessuti cardati tipici della sartoria classica come il gessato, lo spinato, il velluto e il Principe di Galles vengono trattati, mentre i preziosi ricami sono realizzati in filigrana d’oro d’ispirazione barocca

Parola d'ordine mix'n'match per il capospalla corto in vita che si avvale delle lavorazioni più diverse: così il velluto convive con lo shearling, e si arricchisce di ricami gold, a ricordare e citare a gran voce le volute delle chiese

L'accessorio è del tutto fondamentale. L'iconica coppola si accompagna ai macro occhiali neri dalla montatura spessa e forme diverse, mentre le scarpe spaziano dalla stringata maschile all'anfibio, fino alla ghette a punta tonda o quadrata. Anch'esse ricamate, of course

La borsa da avere senza ombra di dubbio è di maxi proporzioni, portata rigorosamente a mano. La pelle, materiale must della doctor bag di sapore old, è invecchiata per un effetto vissuto, e vanta così sfumature di colore per un effetto vintage

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