Dolce & Gabbana tornano al Dna


Il bello della moda è che è piena di contraddizioni. Basta un giorno, e tutto cambia, o meglio si rovescia, per poi tornare dov'era il successivo. Giusto ieri si parlava di crisi di identità e strani colpi di testa da parte di certe maison dalla storia lunga e stratificata, ed ecco che oggi altre maison, con una storia altrettanto lunga e non meno stratificata, optano per il rinnovamento in continuità, se non addirittura per la sfilata genere "florilegio d'archivio". Dalla follia e dall'incoerenza del nuovo ad ogni costo, insomma, si passa d'amblè all'assennatezza, sempre che restar fedeli a se stessi sia sinonimo di mente che funziona, di questi tempi. Quale è dunque la formula vincente: quella facile del guardare alla propria storia, o quella difficile del rinnovamento totale? Ai posteri l'ardua sentenza.

Dopo i costumi alla Adrian e i guanti legati al collo dell'inverno, Domenico Dolce e Stefano Gabbana decidono, saggiamente, di abbandonare le elucubrazioni couture del recente passato per tornare alla carnalità mediterranea che è il loro vero Dna, e fanno centro. Rinnovati da un tema toreador, con le frange e il pizzo come addizioni di stagione, ecco così ricomparire i classici del loro repertorio: c'è il tailleur maschile, questa volta con la giacca a bolero – altro trend caldo di stagione, questo della giacchetta corta e strutturata – i pantaloni da cavallo e le scarpe rasoterra come complemento; ci sono i bustini scultura e gli abiti-guaina ispirati alla lingerie d'antan; ci sono gli omaggi a Coco Chanel e, in lontananza, visioni sfumate di Sicilia, o semplicemente di mondo latino. La compilation è un vero greatest hits della storia del marchio, o un Bignami per chi si fosse perso le puntate precedenti.

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